Mi capita spesso di leggere la parola passione associata al lavoro delle persone, sia dal lato di chi lo cerca che da quello di chi lo offre.
Ecco perché non dovresti usarla, soprattutto se sei un copywriter.
Copywriter per passione
Un copywriter – e in generale chiunque lavori con la creatività – non dovrebbe usare il sostantivo “passione” e l’aggettivo “appassionato” in riferimento al proprio lavoro.
Questo per due motivi fondamentali.
Perché lo fanno tutti
Intanto, perché lo fanno tutti (e questo motivo da solo dovrebbe bastare).
Per un creativo, omologarsi è nel 90% dei casi un suicidio.
Perché passione suggerisce amatorialità
Poi perché, oggi, il concetto di passione viene inconsciamente accostato a quello di amatorialità, secondo questa complessa equazione, frutto di anni di calcolo:
lo faccio per passione = non mi servono i soldi.
E vale anche il contrario.
Quando nella descrizione di un’offerta di lavoro trovo la parola appassionato tra le caratteristiche del candidato ideale, leggo: “cerchiamo una persona altamente competente da pagare poco”.
Quello che dici è quello che sei
Il modo in cui ci presentiamo influenza la percezione che i potenziali clienti hanno di noi e del nostro lavoro.
“Assumimi perché sono un esperto” suona molto meglio di “assumimi perché sono un appassionato”, o no?
Eppure vedo moltissimi copywriter che si presentano come “appassionati” di scrittura, o con una grandissima “passione” per le parole.
O, peggio ancora, direttamente come “appassionati di copywriting”.
Finché le parole e la scrittura saranno una passione, prima che un mestiere, farai fatica ad essere preso sul serio (e retribuito adeguatamente).
P.S. La parola stessa deriva dal lat. tardo passio -onis, derivato di passus, participio passato di pati, che vuol dire «patire, soffrire».
Insomma, no?