Il sacrificio come atto rituale è antichissimo, ed è di importanza centrale in tutte le religioni.
Questo perché – un po’ ruffiani quali sono da sempre – fin dagli albori della specie gli esseri umani cercavano di ingraziarsi potenze di cui non riuscivano a comprendere del tutto (ma a volte neppure in parte) il pensiero e l’operato.
L’Algoritmo e i suoi profeti
Oggi accade più o meno la stessa cosa nel mondo digitale: i digital marketers, come aruspici nell’antica Roma, scrutano le budella del web per cercare di risalire alla volontà degli Algoritmi e stabiliscono quello che deve essere fatto per accaparrarsene i favori.
E proprio gli algoritmi, che decretano la vita o la morte di strategie di comunicazione e intere aziende, sono le nuove divinità di cui, a parte pochi profeti privilegiati, nessuno conosce davvero il funzionamento.
Il sacrificio digitale
Ma veniamo al sacrificio. I sacerdoti 2.0 concordano sul fatto che, nella dieta di tutti gli algoritmi, da Facebook a Google, siano compresi i contenuti.
"Content is king" si dice, e quale maggior sacrificio del sacrificio di un re?
Solo che gli algoritmi sono anche notoriamente ingordi e non si accontentano di sacrifici sporadici, men che meno di un’immolazione una tantum; ai loro altari devono essere deposti contenuti originali e vari con frequenza maggiore possibile.
Così, soprattutto sui social, assistiamo alla corsa al post: quasi non importa quello che pubblichi, purché tu lo faccia con costanza devota. Certo, se poi il contenuto è di valore è pure meglio, ma quanti possono vantarsi di pubblicare con frequenza solo contenuti approfonditi, originali, interessanti?
La cosa preoccupante è che la tendenza è approdata anche in ambito giornalistico. Con alcune eccezioni di riguardo, oggi sembra che non sia importante la notizia in sé, ma il darla prima degli altri – in modo da accaparrarsi il favore dell’algoritmo – manipolandola se ne cessario in modo da accaparrarsi più click possibile.
Per chi scrivi contenuti?
Scherzando, qualche tempo fa avevo scritto:
“l’uomo non è fatto per la SEO, ma la SEO per l’uomo”.
Ne sono profondamente convinto. I contenuti, e in generale tutta l’attività sul web, non devono essere orientati a soddisfare i capricci di un algoritmo, ma a creare valore per le persone.
Lo scopo ultimo dell’algoritmo stesso è dare agli utenti il miglior risultato possibile, non il testo più performante in ottica SEO.
Se non capiremo questo rimarremo uomini preistorici, che continuano a immolare bestiame davanti a sordi idoli di pietra.